Ho vagato, nei meandri dei miei giorni, in terre desolate
sotto cieli incendiati da tramonti incandescenti
sprofondando in caverne e pozzi
densi e bui come buchi neri
solcando oceani e mari
cavalcando onde sin nei rivoli morenti
come ciondolo appesa al cuore d’un poeta
illudendomi d’esser io,
come canto di sirena,
la sua Musa.
Oggi, dopo tanto affanno,
su questo scoglio consunto e frastagliato
più non m’inganno: monile inerte, senza pregio,
dal suo cuore inestricabile e distratto
mi distacco.
Muta, privata dell’incanto,
nell’atavico elemento m’inabisso.
Perché ora so che un poeta,
come Ulisse, scevro è dalla malìa d’una sirena.
Da altre onde, remote come il tempo,
egli trae il suo lirico canto
rincorrendo l’attimo, il battito, la scintilla
pago assaporando ogni sprazzo del suo intimo infinito
a me,
illusa Musa,
ignoto.