Gabbiano Babilo
- di Mary Grace Ovedi
Arroccato sulla torre, da tempi immemorabili, guardi avanti a te.
Sembri di pietra, scolpito nella torre sgretolata, dimezzata.
Dimentichi del tempo, i tuoi occhi, i più belli rimasti aperti tanto a lungo, fissi lontano guardano rapiti.
Non un movimento, non un battito.
Spalancati, madreperlacei, immensi: un universo.
Da quando esisti? Sei nato ora? Mille anni fa? Che importa!
Tu, con un universo da scoprire. Un universo aperto su un universo.
Tu l’universo in cui guardare.
Ma non c’è nessuno a guardarti.
Tu solo.
Tu solo: anelante a forma.
Tu solo: occhi aperti, spalancati sull’immensità.
Lineamenti appena appena accennati che si celano in un abbozzo di corpo, in un ammasso di pietra indefinito, parte integrante della torre sgretolata.
Tu, un lavoro iniziato, lasciato a metà, dimenticato su una torre.
Un orgoglio ferito: la torre è crollata.
La torre non arriva al cielo.
Guardi in alto, su nel cielo e gli occhi sognano.
Vedi prospettive, avverti sensazioni che non puoi provare: tu non hai corpo, tu non esisti.
Tu sei due occhi e un universo.
Sì, tu sei un universo, io ti vedo.
Vedo due fiamme che si levano alte, che bruciano, che ardono.
Vedo due ali che fremono, che vogliono librarsi, che vogliono volare.
Vedo uno stridio forte, struggente, una voce ultrasonica che squarcia il silenzio.
Vedo due zampe che bramano la terra, l’acqua, il cielo.
Vedo il silenzio andare in mille pezzi.
Vedo il silenzio infinitesimale frantumarsi, esplodere, proiettarsi in mille direzioni.
Vedo la luce squarciare il silenzio, l’impassibilità, la freddezza, la compostezza della pietra.
Dura è la roccia, eppure mobile, duttile. Ondeggiante, informe, rigida, eppure morbida, friabile, eppure palpabile, eppure tumultuante.
Fremi, lo sento. Ciononostante sei immobile.
Guardano gli occhi, guardano e non si chiudono, non si muovono.
Si colorano, si accentuano, si accendono, brillano, scintillano.
Ti senti grande, potente, ti senti universale ma … ma non ci sei:
Come puoi? Tu non esisti: tu sei due occhi ed un ammasso di pietra, roccia sgretolata di una torre, una torre crollata, una torre che non arriverà mai al cielo.
Un orgoglio spezzato, ferito. Una vanità annullata, annientata.
E, nel tempo, sei rimasto lì, presente sempre presente, eppure invisibile agli occhi umani, mimetizzato, per mancanza di corpo, in un rudere fatiscente.
Passano le luci, mutano i colori, gli odori, le temperature e tu sei sempre sì, gli occhi aperti, spalancati, madreperlacei, immensi, sempre più immensi, sempre più lucidi, sempre più eccitati, sempre più avidi.
Frugano, scavano, scavalcano, attraversano, fendono e vanno oltre, ti trasmettono la verità. La verità che viaggia sulle onde, la verità che vive nelle sfumature, la verità che ti trasmette la luce, il vento, il freddo: le sensazioni.
Qualcosa sta cambiando in te.
Sì, io lo vedo da quaggiù.
Piccole pietre rotolano giù mentre la roccia muta.
C’è stato un movimento. L’ho visto o l’ho immaginato?
No, eccolo di nuovo.
Due grandi ali si sono stese. Due grandi, immense, meravigliose ali si sono aperte nel cielo.
Sono di pietra e si muovono.
No, non chiudere gli occhi adesso. Oh! Lo so, sei stanco, ma non adesso.
I tuoi occhi non possono chiudersi adesso, non possono permettersi un attimo di tregua, di riposo.
Una briciola di verità potrebbe sfuggirti, potrebbe mostrarsi a te in questo preciso istante e allora tutto sarebbe stato vano, tutto sarebbe stato inutile.
“ Il tempo trema, inesorabile che sia, nel trascorrere d’un battito.
Potrebbe crollare l’Olimpo, potrebbero crollare gli Dei! “
Apri gli occhi, Gabbiano Babilo, e guarda il mare.
Guardalo, Gabbiano Babilo, guardalo e raggiungilo.
Ti darà vita, ti darà gioia, ti darà una mèta, un orizzonte, una ragione.
Ti dirà una verità.
Sì, lo vedo già in te. I suoi mille colori sfavillano ad uno ad uno nei tuoi occhi e le sue onde ti fanno forte, le sue burrasche coraggioso, le sue isole intraprendente.
Guarda, Gabbiano Babilo, guarda ancora, non lasciarti prendere dall’emozione, non lasciare che le lacrime ti annebbino l’universo.
Guarda. Il cielo ti chiama, ti sfida a percorrerlo.
Guarda le nuvole che vogliono essere rincorse, guarda le stelle che disegnano figure magiche per te, per la tua sensibilità sognatrice, per i tuoi pensieri lontani, per la tua fantasia.
Seguile.
Guarda la terra, Gabbiano Babilo. Guarda come brama i tuoi passi, come attira la tua figura, come gode del tuo peso, come ci tiene a mantenere l’impronta del tuo passaggio.
Guarda, Gabbiano Babilo, ancora pietre rotolano giù.
La roccia s’è arresa.
Il silenzio infinitesimale s’è frantumato, è andato in mille pezzi.
Rotola giù, giù, come la roccia e la tua luce prorompente squarcia la freddezza, la compostezza della pietra.
Tutto in frantumi, frammenti che rotolano giù, giù e … imponenti affiorano, si svelano, si liberano le tue zampe.
Guarda, Gabbiano Babilo, guarda: le tue zampe!!!
Scrollati ora.
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